Pane fresco e pane conservato: come riconoscerli?

4 Dicembre 2018

Una delle ultime mode in tema di esercizi alimentari è rappresentato dai cosiddetti “forno caffè” ovvero tutti quegli esercizi in cui la tipica attività delle caffetterie e bar, caffè cappuccini ed altro viene accostata alla vendita di pane ed altri prodotti da forno cotti nell’attività stessa o solamente venduti li. I forno caffè rispondono ad una esigenza imprenditoriale legata alla richiesta della clientela di avere sempre un prodotto “fresco” di forno per la colazione o per il pranzo senza rinunciare alla comodità di un ambiente in cui possa avvenirne anche il consumo. 

Le tipologie dei negozi che si sono  diffuse rapidamente dal nord Italia, dove in particolare Milano fa sempre da apripista per le nuove tendenze, fino a Roma ed alle altre città italiane sono sostanzialmente due: una è quella di un panificio vero e proprio che deputa parte degli spazi alla somministrazione dei prodotti anche da bar, l’altra è quella di un bar con laboratorio caldo che cuoce il pane e gli altri prodotti da forno in loco e lo accompagna ai prodotti di caffetteria. 

Gli esperti di settore si sono lungamente interrogati se un pane cotto a distanza di tempo in un secondo luogo possa essere considerato comunque come fresco. Nella Legislazione italiana il vuoto normativo sull’argomento è stato finalmente riempito dal Decreto n. 131 del 1 ottobre 2018 che  disciplina la denominazione di“panificio” (Art. 1 ), di “pane fresco” (Art. 2) e adotta la dicitura di  “pane conservato” (Art. 3).  

L’Art. 1 del recente Decreto definisce un panificio come un luogo in cui sono presenti impianti di produzione del pane ed eventualmente di altri prodotti da forno ed assimilati o affini e in cui, importantissimo, si svolge l’intero ciclo di produzione, dalla lavorazione delle materie prime fino alla cottura finale. 

Il “pane fresco” di conseguenza è definito come il prodotto ottenuto da un processo continuo e senza interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione (eccetto quella del rallentamento del processo di lievitazione), privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante e che si realizza nel tempo massimo di 72 ore (tempo massimo tra inizio del processo e messa in vendita del prodotto). 

Questi due articoli portano alla conseguenza della definizione di “pane conservato o a durabilità prolungata” nell’art. 3 del Decreto come quello che non è conforme a quanto disposto dall’Art. 2. Nel caso quindi  si superino le 72 ore è necessario far riferimento a quanto previsto in termini di etichettatura dal Reg. UE 1169/11 per prodotti sfusi (o non preimballati). In particolare questo prodotto deve essere esposto alla vendita in zona separata dal “pane fresco” con una chiara dicitura che ne evidenzi il metodo con cui è stato conservato, l’utilizzazione, nonché le eventuali modalità di conservazione e consumo. 

Il Decreto n. 131 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 novembre 2018, si applicherà a partire dal 18 dicembre 2018 concedendo per I prodotti confezionati ed imballati 90 giorni per l’utilizzo massimo di imballi o incarti non conformi al Decreto stesso (ovvero fino al 18/02/2019).